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Più libertà di stampa uguale meno libertà d’impresa? Sbagliato, Della Valle

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- La libertà di stampa e, quindi, di opinione, evidentemente vale un pubblico appello al Presidente della Repubblica affinché la salvaguardi. Ma strana concezione ha di tale libertà chi reputa che essa vada tutelata limitando quella d’impresa, in particolare, quella del soggetto editoriale che l’opinione esprime. Tanto più strana se tale concezione proviene da chi – Diego Della Valle – sulla libertà di organizzare e far operare strutture societarie, adeguato contrappeso al rischio imprenditoriale, ha fondato le proprie attività. Perché, se ogni libertà va garantita, nessuna può esserlo a discapito di un’altra, soprattutto se tutte costituzionalmente contemplate.

La libertà d’informazione per Della Valle non dovrebbe, dunque, essere il frutto di una libera determinazione, quanto invece il risultato di un vincolo di composizione. Invitando a frammentare il possesso azionario nel soggetto editoriale, egli così la intende: una misurata e bilanciata espressione di opinioni, che riflettano all’esterno l’equivalente misurata e bilanciata compresenza di più soci, di cui nessuno prevalente, che egli vorrebbe imporre all’interno. Questa, per Della Valle, dovrebbe essere la stampa: non oggetto di una libertà, ma al contrario di una limitazione, che si traduce nell’obbligo di un’equilibrata partecipazione volta al fine di dare analoga equilibrata rappresentazione a ogni opinione. Con buona pace del diritto di ogni testata a strutturarsi liberamente e, altrettanto liberamente, a sostanziare posizioni proprie, nette, definite e anche di parte.

Se libertà di stampa significa pluralismo informativo, quest’ultimo non è certo – come Della Valle pare ritenere – quello “interno” al singolo giornale, così tenuto a dare oggettivamente voce a ogni tendenza e corrente di pensiero politica, sociale e culturale, in modo adeguatamente soppesato e bilanciato. Il pluralismo che tutela le libertà, in primis quella del soggetto editoriale di esprimersi liberamente, è invece quello “esterno”, che nel più ampio panorama della stampa consente la coesistenza di quante più testate diverse, variamente modulate e pure ben schierate. Esso è confronto e anche scontro fra soggetti che si facciano portatori di idee e di argomentazioni, sul variegato palcoscenico del dibattito pubblico. Se libertà d’informazione è quella di informare così come di essere informati, essa si concreta nel libero concorso di una molteplicità giornali, ognuno dalla linea definita e ben connotata, alla costruzione della coscienza del singolo così come di quella collettiva, mediante la consapevole formazione di convinzioni: arricchimento individuale e al contempo sociale.

La presenza di un’influenza dominante nella circolazione delle opinioni, che finisca per tradursi in manipolazione e persuasione ideologica, non la si valuta in termini di percentuali di possesso nell’impresa editoriale. Basti pensare a quanto ampi e numerosi sono i criteri di cui organizzazioni come Reporters sans frontieres e Freedom House si avvalgono per misurare la libertà di stampa e, quindi, la presenza di fattori tali da incidere su di essa al fine di soffocarla. Non è certo limitando la proprietà di una testata che se ne assicura l’equidistanza da ogni tendenza, falso mito dei duri e puri dell’informazione e colossale equivoco di molti altri. Un giornale è sempre il risultato di coloro che, a vario titolo, vi collaborano e, quindi, di soggetti che esprimono, attraverso le proprie idee, un’identità ben definita e talora anche un’appartenenza. Non può essere strumento neutrale, per definizione.

Un’informazione non attendibile così come un’opinione non motivata non possono essere evitate, né il loro opposto può essere garantito, contenendo – per legge o per volontà dei singoli proprietari – la quota di partecipazione nell’impresa editoriale che così si esprime: deontologia, codici comportamentali, verifica delle fonti, senso critico e capacità di valutazione definiscono chi, scrivendo, esprime la propria idea al pubblico, al cui giudizio la sottopone. Non è l’oggettività che qualifica il merito del giornale. Né oggettività, forse, vorrebbe chi, leggendo, ha bisogno del valore che alla mera notizia può aggiungere un taglio personale, una prospettiva originale, un profilo di analisi particolare.

Ben poca considerazione deve avere della maturità di ogni componente del mercato chi, come Della Valle, ritenga che esso debba venire paternalisticamente guidato e protetto con limiti e prescrizioni, in quanto incapace di operare, soppesare e scegliere. Perché, ponendo alle dinamiche di quel mercato vincoli e paletti, si svaluta al contempo la testata che l’opinione esprime, il giornalista che ivi scrive e il lettore che personalmente giudica, decidendo al loro posto ciò che libertà vuol dire. Contraddizioni di chi vuole mostrarsi migliore o, forse, essere il più originale. A gesti eclatanti, così inutili come privi di significato, si preferisca la pratica del giornalismo più libero, in quanto più responsabile e meditato. E si lasci al pubblico il compito di valutarlo e anche quello di punirlo, tenendo fuori lo Stato, con le sue imposizioni, e pure con i suoi sussidi. I lettori più maturi ringrazieranno, e agli altri comunque nulla verrà tolto.


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